10/1/2023 - Anci Campania ha approvato all’unanimità, nel corso del suo Direttivo regionale, il seguente documento sull’Autonomia differenziata. Sarà proposto nei prossimi giorni anche alle Anci delle altre Regioni del Sud. “Il nostro obiettivo – dice Carlo Marino, Presidente di Anci Campania e coordinatore delle Anci del Sud, oltre che sindaco di Caserta – è di creare una piattaforma comune di discussione per aprire un tavolo di confronto vero con il Governo Nazionale e i presidenti delle Regioni, a partire da quelli del Mezzogiorno. I Sindaci vogliono essere i protagonisti, partendo dalle questioni centrali – i Lep, le risorse finanziarie, la coesione del Paese – che abbiamo posto al centro del nostro documento”.
L’autonomia differenziata, proposta attraverso la bozza Calderoli, non ci piace perché cristallizza i divari tra Nord e Sud così come li conosciamo dalle tante classifiche sulla qualità della vita che ogni anno certificano lo scarto tra le diverse aree del Paese. E, quindi, valutiamo con seria preoccupazione il percorso avviato dal governo. La crescita delle aree in ritardo di sviluppo è tra le maggiori sofferenze di questo Paese, ancor più dopo la crisi sanitaria che ha messo in ginocchio l’Italia per oltre un anno e mezzo. La partita dell’autonomia differenziata è, per questi motivi, troppo importante per ridursi a una mera disputa tra le istituzioni. È, invece, una questione che anzitutto riguarda noi sindaci del Sud. Finora il regionalismo differenziato – come previsto dall’art.116 comma 3 della Costituzione –, che attribuisce alle «regioni a statuto ordinario ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, limitatamente però a determinate materie e seguendo uno specifico procedimento», si è tradotto in un tormentato braccio di ferro per le asimmetrie che verrebbero a introdursi nell’ordinamento italiano.
E non sfugge agli amministratori locali il rischio nascosto nelle pieghe della riforma. Questo dovrebbe orientare un moderno meridionalismo a spingere verso una determinata direzione, cosa che non solo non viene fatto, ma nemmeno ci si interroga su quanto stia effettivamente accadendo. Il Sud, con questa autonomia differenziata, ne uscirebbe ancora più vecchio e malandato perché senza il rilancio economico e civile del Mezzogiorno non ci sarà mai un vero rilancio dell’Italia rispetto al resto dell’Europa, anzi ci sarà una questione italiana in Europa, come in gran parte già c’è. I sindaci sono pronti a fare la propria parte e aprire un tavolo di confronto immediato con le Regioni del Sud. Con quali contenuti? Dobbiamo partire dalle parole pronunciate dal capo dello Stato nel corso dell’Assemblea Anci di Bergamo. Mattarella ci esorta a essere una vera comunità che non lascia indietro i più deboli, sia che si tratti di singole persone sia che si tratti di intere regioni. I diritti sociali rappresentano un capitolo determinante del patto istituzioni-cittadini, se questi venissero meno la Repubblica non si terrebbe più insieme. Invece l’autonomia differenziata, per come è stata finora presentata, delinea un assetto istituzionale che minerebbe la solidarietà nazionale e renderebbe strutturale la diseguaglianza.
Siamo in una fase in cui è indispensabile chiarire che cosa davvero si intenda per Lep, i livelli essenziali di prestazione, una parte restata inattuata nella riforma del Titolo V, ben 21 anni fa, un’incuria da parte di tutti i governi che si sono succeduti, sempre giustificata col fatto che c’erano altre emergenze. I Lep rappresentano, invece, la garanzia di parità di trattamento di tutti i cittadini ovunque essi vivano, da Nord a Sud, su una serie di aspetti essenziali della vita. Dalla salute all’istruzione, dai trasporti pubblici al governo del territorio. I divari aumenterebbero se invece dei Lep si applicasse il criterio della «spesa storica», come hanno chiesto alcuni esponenti del governo. Viceversa, la definizione dei Lep, con il conseguente passaggio dalla «spesa storica» al «costo standard» rappresenterebbe l’occasione tanto attesa per colmare il “gap” tra regioni del nord e regioni del sud, garantendo in modo uniforme, e sull’intero territorio nazionale, i diritti civili e sociali. Ma è pensabile che i Lep si realizzino in sei mesi e a finanza invariata? Un interrogativo che si aggiunge a quello riguardanti i Comuni che devono essere “sentiti”. Ecco cosa dice l’art.116 Cost., terzo comma: «Ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia…. possono essere attribuite ad altre regioni, con legge dello Stato, su iniziativa della regione interessata, sentiti gli enti locali, nel rispetto dei princìpi di cui all’articolo 119». Il ruolo degli enti locali continua a essere nebuloso, non se ne stabilisce le modalità e neppure si precisano i soggetti (solo i Comuni o anche le Comunità montane o attraverso i Consigli delle autonomie locali?). E se una Regione non richiedesse nuove funzioni? Dalla lettura della bozza significherebbe che meno risorse vengono attribuite alle Regioni, meno Comuni potranno essere assegnatari di fondi.
La coesione del Paese passa soprattutto dai Comuni. Scuola, trasporti pubblici locali, assistenza sociale, energia, sanità di prossimità: è necessario costruire un dialogo e una relazione forte e stabile con le Regioni, perché si tratta di compiti di straordinario rilievo che richiedono un impegno condiviso e solidale in modo da evitare che qualsiasi riforma parta immaginando una Italia a due velocità. Ci chiediamo: cosa succederebbe se permettessimo alle Regioni più ricche di pagare di più i loro medici e i loro insegnanti, rispetto alle Regioni con minore possibilità di spesa? Si rischierebbe di assistere a una fuga di medici e insegnanti dal Sud verso il Nord, o almeno dei migliori di loro. Questo creerebbe formidabili disparità di trattamento, ad esempio tra un ragazzo iscritto a un liceo in Campania, in Calabria o nel Sud Italia e uno che frequenta lo stesso istituto in Lombardia e il Veneto. Lo stesso vale per la raccolta dei tributi locali: l’effetto potrebbe essere che le regioni ricche diventino ancora più ricche e quelle povere ancora più povere. Ecco perché bisogna muoversi con attenzione e rapidità, precisando i confini tra azioni del governo centrale e del Parlamento (finora relegato al ruolo di «mera approvazione») e azioni delle Regioni e dei Comuni. La fotografia scattata da Svimez è impietosa: gli effetti territoriali dello choc energetico penalizzano soprattutto le famiglie e le imprese meridionali. L’autonomia differenziata sarebbe un colpo mortale.
Serve allora l’unione dei governatori, dei sindaci e dei parlamentari del Sud contro l’idea di Paese diviso tra cittadini di serie A e di serie B. Pertanto, ritenuto che questo modello di regionalismo non è sostenibile, chiediamo al ministro Calderoli di rivedere gli assi portanti della sua bozza tenendo conto dei principi fondamentali della Repubblica: solidarietà (art. 2 Cost), eguaglianza (art. 3), sussidiarietà (art.118), perequazione (art. 119). Alla luce delle valutazioni sopra esposte, chiediamo ai Presidenti delle Regioni del Sud di aprire un confronto con il Governo che garantisca davvero il principio di eguaglianza tra i territori e assicuri l’unità nazionale, che non può essere un semplice sentimento, ma un principio che tenga insieme le comunità del Nord e del Sud.